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Santi del 9 Ottobre

Il mio Santo > I Santi di Ottobre

*Sant'Abramo - Patriarca d'Israele (9 ottobre)

Ur dei Caldei - Canaan, XIX secolo a.C.
Etimologia: Abramo = grande padre, dall'ebraico
Martirologio Romano: Commemorazione di Sant’Abramo, patriarca e padre di tutti i credenti, che, chiamato da Dio, uscì dalla sua terra, Ur dei Caldei, e si mise in cammino per la terra promessa da Dio a lui e alla sua discendenza.
Manifestò, poi, tutta la sua fede in Dio, quando, sperando contro ogni speranza, non si rifiutò di offrire in sacrificio il suo figlio unigenito Isacco, che il Signore aveva donato a lui già vecchio e da una moglie sterile. Padre di tutti i credenti, così è chiamato Abramo patriarca del Vecchio Testamento e che rappresentò l’umanità nella grande alleanza che Dio propose.
Con la vicenda di Abramo, inizia la storia dei Patriarchi d’Israele, che va dal XIX al XVII secolo a.C., raccontata dal capitolo 12 al capitolo 50 nel primo libro della Bibbia, la Genesi.
Egli era discendente di Sem, uno dei tre figli di Noé e dimorava con il padre Terah e con tutta la famiglia ad Ur dei Caldei, antichissima città della Bassa Mesopotamia (attuale Iraq).
Terah poi con Abramo e sua moglie Sara e con il nipote Lot, lasciò Ur per emigrare nella terra di Canaan, arrivarono fino ad Harran (Carran) stabilendosi lì per lungo tempo, fino alla morte di Terah che visse 205 anni.
Qui avvenne il fatto umanamente inspiegabile, Dio irrompe nella vita ordinaria di Abramo e gli parla chiamandolo ad una missione tanto grande quanto misteriosa: “Vattene dal tuo paese, dalla tua patria e dalla casa di tuo padre, verso il paese che ti indicherò.
Farò di te un grande popolo e ti benedirò, renderò grande il tuo nome e diventerai una benedizione.
Benedirò coloro che ti benediranno e coloro che ti malediranno, maledirò e in te si diranno benedette tutte le famiglie della terra”.
Abramo risponde con la fede; sarà poi sempre l’uomo della fede, il primo e il modello dei credenti e in quanto tale è padre di ogni credente, non soltanto della comunità ebraica, cristiana ed islamica, ma anche di tutti gli esseri umani, in cammino alla ricerca di Dio.
A 75 anni prese con sé la moglie Sara e il nipote Lot, figlio del defunto fratello Aran e si sposta alla maniera dei nomadi, con tutto il bestiame ed i servitori, lungo la regione montuosa della Palestina, toccando e soggiornando in vari luoghi, a Mamre nei pressi di Hebron, Canaan, Sichen, Bersabea nel Negheb, per un breve tempo a causa di una carestia, anche in Egitto; stabilendosi definitivamente nella steppa meridionale del Negheb.
In seguito a contrasti sorti fra i mandriani di Abramo e quelli di Lot che pure aveva grosse mandrie e greggi, per il poco spazio disponibile, Abramo e Lot si divisero; Lot si diresse allora verso la rigogliosa valle del Giordano, piantando le tende vicino a Sodoma, Abramo rimase nella terra di Canaan.
In quel tempo vi fu una scorreria al di là del Giordano e a sud della Palestina, di una spedizione di re orientali provenienti dall’est di Babilonia, i quali combattendo e vincendo i piccoli re della Pentapoli
(Sodoma, Gomorra, Adma, Sebain, Soar) presero bottino e cittadini prigionieri, compreso Lot con i suoi beni.
Abramo avvertito di ciò, intervenne con i suoi uomini più esperti nelle armi e piombando di notte sugli invasori li sconfisse, liberò Lot e gli altri prigionieri, recuperando i beni, inseguendoli fino oltre Damasco.
Del bottino fatto, Abramo offrì una decima a Melchisedech, sacerdote dell’Altissimo e re di Shalem, che gli era venuto incontro benedicendolo e Dio gli confermò la promessa di dare il paese di Canaan ai suoi discendenti. Intanto la moglie Sara essendo sterile e vecchia, per dargli un figlio, cedette al marito la schiava Agar da cui nacque Ismaele; Dio rinnovò il patto con Abramo che aveva 99 anni, promettendogli grandi ricompense, allora lui disse, “Cosa mi darai?
Vedi che a me non hai dato discendenza e che un mio domestico sarà mio erede” e Dio a lui “non costui sarà il tuo erede, ma colui che sarà generato da te sarà il tuo erede, guarda in cielo e conta le stelle, tale sarà la tua discendenza” e poi mediante un sacrificio di animali, come era uso fra gli ebrei, Dio suggellò la sua Alleanza con Abramo, sancita con la circoncisione di Abramo, di Ismaele e di tutti i maschi del gruppo, da perpetuarsi con ogni bimbo nato in seguito.
Dio apparve ancora ad Abramo alla Quercia di Mamre sotto le sembianze di tre uomini, ai quali lui offrì cibo, bevande e ospitalità; i tre gli predissero che Sara avrebbe avuto un figlio da lì ad un anno, benché molto vecchia, poi dissero di essere diretti a distruggere le città di Sodoma e Gomorra per i peccati dei loro abitanti.
Abramo intercesse più volte per loro, affinché venissero risparmiati in virtù dei buoni presenti fra essi; gli angeli, perché di angeli si trattava, concessero che anche per solo dieci giusti, essi avrebbero risparmiato le città.
Ma non si trovarono, il solo Lot e sua moglie furono risparmiati; le città sotto una pioggia di fuoco e zolfo, bruciarono con tutti gli abitanti, mentre Lot e la moglie fuggivano, quest’ultima benché avvertita di non farlo, si voltò a guardare l’incendio e si tramutò in una statua di sale.
Più tardi nacque Isacco e Sara fece allontanare la schiava Agar con il figlio Ismaele, con grande dolore del patriarca, al quale però il Signore promise anche per Ismaele una grande discendenza.
A questo punto si arriva al momento più drammatico della vita di Abramo, ma anche più rivelatore della sua grande fiducia in Dio; il Signore volle metterlo ancora alla prova, lo chiamò quando Isacco era già fanciullo e gli disse di portarlo sul monte nel territorio di Moria e di sacrificarlo, come si usava per i sacrifici di animali offerti a Dio.
Nonostante il dolore provato per questa richiesta di sacrificare quell’unico figlio, nato così prodigiosamente nella tarda vecchiaia e che secondo le promesse di Dio, avrebbe assicurato la sua discendenza, Abramo obbedì, ma quando stava per portare a compimento con il coltello, l’uccisione del figlioletto, un angelo apparso lo fermò dicendo: “Non stendere la mano contro il ragazzo e non fargli alcun male!
Ora so che tu temi Dio e non mi hai rifiutato il tuo unico figliuolo”.
Alzando gli occhi poi Abramo vide un ariete impigliato con le corna fra i rami di un arbusto e presolo, insieme ad Isacco, lo sacrificarono sull’altare improvvisato prima.
Dio tramite l’angelo gli promise, per questa ubbidienza alla Sua volontà, anche quando tutto veniva rimesso in questione, ogni benedizione, la moltiplicazione della discendenza come la sabbia delle spiagge e le stelle nel cielo e saranno benedette tutte le Nazioni della terra.  
Morta Sara a 127 anni, Abramo mandò il servo Eliezer in Mesopotamia a cercare una moglie per il figlio Isacco, il quale ritornò con Rebecca della stessa famiglia di Abramo.
Il patriarca poi sposò Ketura, dalla quale ebbe sei figli, Zimran, Ioksan, Medan, Madian, Isbak e Suach.
Morì a 175 anni nella terra di Canaan, lasciando erede universale Isacco e un appannaggio agli altri figli. Alla sua genealogia si riallacciano gli Ebrei attraverso Isacco, vissuto 180 anni e gli arabi attraverso Ismaele, che visse 137 anni; la sua importanza per gli ebrei crebbe sempre più, venendo considerato il progenitore e l’uomo del primo patto con Dio; in tutta la tradizione che seguirà, il Signore è spesso chiamato il “Dio di Abramo”.
Il drammatico episodio del sacrificio di Isacco, in cui Dio manifesta di non gradire i sacrifici umani, è stato in ogni tempo raffigurato nelle opere dei più grandi artisti. La Chiesa Cattolica ricorda Abramo, padre di tutti credenti, al 9 ottobre.
(Autore: Antonio Borrelli – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sant'Abramo, pregate per noi.

*Beato Andrea da Domodossola - Canonico Lateranense (9 ottobre)

† 1500
Il Beato Andrea da Domodossola, è un canonico lateranense vissuto nel XV secolo.
Sentita la vocazione fin da giovane, come scrive il Massa: “Si avviò dalla sua adolescenza alla carriera Ecclesiastica, alla quale fin dalla sua puerizia si sentiva inclinato”.
Divenuto sacerdote, dopo aver incontrato forti ostacoli nell’esercizio delle sue funzioni, decise di entrare nella congregazione dei Canonici Lateranensi. I Canonici erano arrivati a Novara intorno al 1470, chiamati dal vescovo Giovanni Arcimboldi.
Il Beato Andrea Viene ricordato come un religioso che visse con grande zelo il suo lavoro apostolico e che ebbe “grande fama di difensore dei diritti ecclesiastici e di vero operaio evangelico”.
Sappiamo che morì a Novara, nel convento della Madonna delle Grazie nell’anno 1500.
In quel convento era conservato il suo copro fino alla soppressione del suo ordine. Il Beato Andrea da Domodossola era festeggiato nel giorno 9 ottobre.

(Autore: Mauro Bonato - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Andrea da Domodossola, pregate per noi.

*Santi Andronico e Atanasia - Sposi (9 ottobre)

+ Egitto, fine IV secolo
Vissero in Egitto verso la fine del IV secolo, al tempo dell'imperatore Teodosio. Andronico, orafo ad Antiochia, sposò Atanasia dalla quale ebbe due figli, entrambi morti in tenera età. I coniugi, però, interpretarono la perdita dei bambini quale un rimprovero divino alla loro condotta non propriamente improntata allo spirito evangelico.
In seguito all'apparizione di San Giuliano ad Atanasia, che la invitava a consacrarsi interamente a Dio con il marito, distribuirono allora tutti i loro beni ai poveri e intrapresero numerosi pellegrinaggi in Egitto ed in Terra Santa.
Separati per vivere la loro scelta religiosa, Atanasia giunse al monastero femminile di Tabenna, travestendosi da uomo per vivere le fatiche fisiche e spirituali non adatte a una donna. Per le sue qualità ottenne la direzione dei centri religiosi nati proprio in quegli anni in Palestina ed Egitto.
Qui giunse Andronico, che però non riconobbe la moglie. Solo dopo la morte di Anastasia l'uomo venne a sapere della vera identità della moglie e chiese di essere sepolto accanto a lei a Gerusalemme.
La biografia è stata di certo arricchita da contenuti letterari, ma il culto dei due Santi si diffuse a Cipro e nelle Chiese copte egiziana ed etiope. (Avvenire)
I Santi Andronico ed Anastasia vissero in Egitto verso la fine del IV secolo, al tempo dell’imperatore Teodosio, come testimoniano le commemorazioni riportate dai menei, menologi e sinassari greci nelle date del 2 marzo, 6 e 12 maggio e 9 ottobre.
Andronico, che esercitava il mestiere di orafo presso Antiochia, convolò a nozze con Atanasia dalla quale ebbe due figli, entrambi morti in tenera età. I coniugi, anziché cadere nello sconforto, interpretarono la perdita dei bambini quale un rimprovero divino alla loro condotta non propriamente improntata allo spirito evangelico.
In seguito all’apparizione di San Giuliano ad Atanasia, che la invitava a consacrarsi interamente a Dio con il marito, distribuirono allora tutti i loro beni ai poveri ed intrapresero numerosi pellegrinagi in Egitto ed in Terra Santa.
Al ritorno dalla Palestina, Andronico ed Atanasia conobbero San Daniele, abate di Scete, cosa un po’ strana in quanto tale Santo visse solo due secoli dopo. Il Santo abate trattenne Andronico presso di sé, mentre inviò Atanasia al monastero femminile di Tabenna. Dodici anni dopo Atanasia decise di vestire panni virili onde poter essere sottoposta a maggiori torture e patimenti non confacenti il gentil sesso. Per la sua magnanimità ed il suo spirito di santificazione, ottenne la direzione dei centri religiosi nati proprio in quegli anni in Palestina ed Egitto. Andronico, desideroso di conoscere quei famosi monasteri, si mise in viaggio per visitarli.
Atanasia appena lo vide riconobbe il suo marito, ma preferì non rivelarsi invitandolo comunque a fermarsi in quel monastero. Denominato “monastero XVIII” dal numero delle miglia che lo separavano da Alessandria d’Egitto.
Dopo una dozzina d’anni Atanasia morì: solo allora Andronicò scoprì la sua reale identità e di essere sepolto accanto a lei presso Gerusalemme. La vicenda di questi santi coniugi pare essere una finzione letteraria ispirata ai più frequenti luoghi comuni dell’agiografia monastica, purtroppo priva quindi di qualunque autenticità.
La loro festa si diffuse nelle Chiese copte egiziana ed etiope, nonché a Cipro ove erano oggetto di particolare venerazione.
(Autore: Fabio Arduino – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santi Andronico e Atanasia, pregate per noi.

*Sant’Arnoaldo di Metz - Vescovo (9 ottobre)

† 607 ca.
Sant’Arnoaldo (Arnold o Arnould) è il ventisettesimo vescovo di Metz. Nella cronotassi ufficiale della diocesi, figura dopo Sant’Aigulfo e prima di San Pappolo.
La sua posizione è stata assegnata dal più antico catalogo dei vescovi della città, compilato intorno al 776 e giunto ai nostri giorni nel cosiddetto “Sacramentario” di Drogone, vescovo di Metz tra gli anni 823 e 855.
Sant’Arnoaldo fu vescovo agli inizi del VII Secolo.
Ricevette dal re Teodeberto II, il dominio di Mekergem, sopra la Sarre, dove si pensa abbia fondato un famoso monastero.
Si ritiene che sia morto intorno al 607.
Sant’Arnoaldo fu più volte confuso con un certo Arnoaldo padre di Sant’Arnolfo, pure vescovo della città.
La sua festa è stata fissata nel giorno 9 ottobre.

(Autore: Mauro Bonato - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sant’Arnoaldo di Metz, pregate per noi.

*Beati Leccetani (9 ottobre)

I Beati si venerano in un eremo chiamato “Lecceto”, a pochi chilometri da Siena.
Come ogni fondazione avvolta nel mistero, quando storia e leggenda si confondono, l'origine dell'eremo di Lecceto affonda le sue radici nella notte dei secoli. Divenuto convento agostiniano intorno al 1244, nel 1387 dà inizio al movimento di riforma all'interno dell'Ordine.
Numerosi frati da varie parti d'Italia e d'Europa chiedono di andare a vivere a Lecceto. E in quell’eremo vivono la santità e promuovono la vita cristiana e monastica. In un grande quadro che si conserva nell'eremo è dipinto l'albero genealogico della santità fiorita a Lecceto: vi appaiono 25 nominativi.
Eremo di Lecceto. A pochi chilometri da Siena, nell'incantevole panorama delle colline toscane, dove ogni paese, ogni borgo, ogni casa parla di storia e di arte. Ancora oggi, per chi se lo trova
improvvisamente davanti, nascosto nel bosco fitto di lecci, percorrendo una strada di terra battuta, rimane un luogo di fiaba e di mistero, di misticismo e di incanto.
Lecceto è un simbolo tra i più significativi ed efficaci della spiritualità agostiniana lungo i secoli, reso oggi vivo e palpitante dalla presenza permanente di una comunità di monache agostiniane di vita contemplativa.
Come ogni fondazione avvolta nel mistero, quando storia e leggenda si confondono, l'origine dell'eremo di Lecceto affonda le sue radici nella notte dei secoli. Divenuto convento agostiniano intorno al 1244, nel 1387 dà inizio al movimento di riforma all'interno dell'Ordine.
La riforma leccetana mette in evidenza la dimensione contemplativa e ascetica dell'Ordine, insidiata nei secoli XIV e XV da risvolti negativi (secolarismo e mondanità) che penetrano nelle comunità agostiniane, nel tentativo di aprirsi alla cultura e alla sensibilità nuova dell'umanesimo e del rinascimento. Numerosi frati da varie parti d'Italia e d'Europa chiedono di andare a vivere a Lecceto. Santa Caterina da Siena trova lì il suo confessore; da lì chiama i frati da inviare a Roma per aiutare il Papa nel tentativo di riformare la Chiesa. S. Bernardino da Siena frequenta abitualmente l'eremo. Si crea la leggenda.
A poche centinaia di metri dall'eremo, dove i frati vivono in comunità, dedicandosi alla preghiera e alla meditazione, al lavoro, allo studio e alla predicazione, ci sono grotte scavate nel tufo nelle quali chi lo desidera può trascorrere giorni di deserto e di raccoglimento assoluto, portando con sé "un poco di pane e di sale" per cibo, soli con se stessi, con la natura e con Dio.
In un grande quadro che si conserva nell'eremo è dipinto l'albero genealogico della santità fiorita a Lecceto: vi appaiono 25 nominativi.
Questo incantesimo finisce nel 1808, quando le leggi napoleoniche sopprimono la comunità religiosa e confiscano il convento. L'eremo passa nel 1816 in proprietà alla diocesi di Siena: quando non è utilizzato, d'estate, dai seminaristi in vacanze, rimane luogo di rovi e di serpi.
Fino al 1972, quando un piccolo manipolo di coraggiose suore agostiniane, provenienti da Siena, sfidando le difficoltà e l'abbandono di due secoli, ridanno a Lecceto l'incanto perduto.
E ora un canto di lode sale continuo a Dio da quel luogo sperduto in un bosco di lecci, restituito alla contemplazione e a chi desidera trovarvi ospitalità e silenzio.
La loro memoria liturgica ricorre il 9 ottobre.
(Autore: P. Bruno Silvestrini O.S.A – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beati Leccetani, pregate per noi.

*San Bernardo di Rodez - Abate (9 ottobre)

Martirologio Romano: Nel monastero di Montsalvy in Francia, San Bernardo da Rodez, abate dei Canonici regolari.
Nato a Rodez verso il 1040, Bernardo entrò ancor giovane nel monastero di Sant'Amando di Coly, tenuto dai Canonici Regolari. In seguito, l'abate san Gosberto quando andò a fondare l'abbazia di Montsalvy, volle con sé Bernardo che, alla sua morte (1079), gli succedette nella carica.
Bernardo morì nel 1110, dopo oltre trent'anni di ottimo governo. Nel 1258 gli fu dedicata una cappella nella chiesa di Montsalvy, dove era stato sepolto, ed ebbe luogo una ricognizione delle sue ossa.
La sua festa si celebra il 9 ottobre, ma il culto è puramente locale.
(Autore: Vincenzo Faraoni - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Bernardo di Rodez, pregate per noi.

*San Bonolo di Metz - Vescovo (9 ottobre)
V sec.

San Bonolo è il sedicesimo vescovo di Metz.
Nella cronotassi ufficiale dei vescovi della diocesi, figura dopo Sant’Urbicio e prima di San Terenzio.
La sua posizione è stata assegnata dal più antico catalogo dei vescovi della città, compilato intorno al 776 e giunto ai nostri giorni nel cosiddetto “Sacramentario” di Drogone, vescovo di Metz tra gli anni 823 e 855. Di San Bonolo non sappiamo nulla.
Si presume che il suo governo episcopale sia durato solo quattro anni, da collocarsi nella seconda metà del V Secolo.
Alcuni storici gli assegnano il titolo di Santo e affermano che era commemorato il giorno 9 ottobre. Ma la cosa non è certa. Non esiste alcuna traccia di culto per San Bonolo.
I Bollandisti lo collocano tra i santi praetermissi e affermano che la sua festa poteva essere celebrata il 9 ottobre.

(Autore: Mauro Bonato - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Bonolo di Metz, pregate per noi.

*San Deusdedit (Diodato, Deodato) di Montecassino - Abate, Venerato a Sora (9 ottobre)
m. 9 ottobre 834
Diodato fu monaco benedettino. Si dedicò alla preghiera e allo studio fino all'anno 828, quando fu eletto abate di Montecassino, il quindicesimo della serie.
Per la difesa dei diritti del monastero, insidiati da alcuni nobili, subì molte vessazioni.
Come quella inflittagli da Sicario, principe di Benevento, che lo imprigionò.
Morì poco dopo, nell'834. Il corpo fu nascosto alle incursioni dei saraceni dall'abate Bertario, che lo fece traslare sotto il campanile della chiesa di San Giovanni Val Roveto (L'Aquila).
Fu riscoperto nel 1618 dal vescovo di Sora, Gerolamo Giovannelli. (Avvenire)
Martirologio Romano: A Montecassino nel Lazio, San Deusdédit, abate, che, gettato in carcere dal tiranno Sicardo, rese qui lo spirito a Dio sfinito dalla fame e dalle tribolazioni.
Deusdedit, nome latino che è passato indenne nei secoli fino a noi, anche se vi sono state altre traduzioni, come Adeodato, Diodato, Deodato, più o meno celebri nel Martirologio Romano.
Di Deusdedit Santi ve ne sono ben sei, il significato è chiaro “dato da Dio”, deve essere stato molto usato nei primi secoli del cristianesimo, ma con uso anche in seguito, almeno fino a quando il latino era la lingua principale.
Ed infatti il San Deusdedit di cui parliamo, è un abate di Montecassino vissuto nel IX secolo, egli successe all’abate Apollinare nell’828, fu uomo di grande istruzione e grandissima pietà, ma il suo governo non fu facile, perché fu deposto dopo sei anni e imprigionato dal duca di Benevento, Sicardo uomo cattivo ed avarissimo, perché l’abate non aveva voluto cedergli dei beni del monastero.
Il tutto va inquadrato nella miserevole situazione che si era creata nell’Impero, con i deboli successori di Carlo Magno e con il sorgere di lotte e prepotenze anarchiche dei signori feudali,
compreso quelle dei duchi di Benevento, fino allora protettori di Montecassino.
Il Santo abate, morì in carcere di stenti e di fame nell’834; il suo corpo fu sepolto a Montecassino e avvennero molte guarigioni miracolose sulla sua tomba, questo ci è stato tramandato anche dal celebre storico Erchemperto monaco.
Un altro storico Leone Ostiense, asserì che il giorno della sua morte fu il 9 ottobre 834, ed è in questo giorno che venne sempre celebrato nell’abbazia di Montecassino e poi nel "Martirologio Romano".
San Giovanni Val Roveto, custodisce gelosamente ed onora con rinomata solennità le reliquie di San Diodato.
Il Santo Abate Benedettino, il XV della serie degli Abati di Montecassino.
Le spoglie mortali del Santo rimasero nascoste con tutti i documenti di autenticità sotto il campanile della chiesa di San Giovanni, la dove ora si trova l'altare dedicato a San Diodato, dall'anno 862 al 1618.
Vi era stato portato dall'Abate Bertario permetterlo al sicuro dalle devastazioni dei Saraceni dirette contro Montecassino.
Fu rinvenuto 750 anni dopo dal vescovo di Sora (FR) Mons. Gerolamo Giovannelli che ne fissò la festa il 27 Settembre.
Rimase umile monaco dedico alla preghiera e allo studio fino all'anno 828, quando fu eletto Abate alla morte dell'Abate Apollinare.
Fu intrepido difensore dei diritti di Dio e del Monastero quando Sicario, principe di Benevento, per
finanziarsi la guerra contro Napoli e Amalfi pretyese da Diodato i beni di Montecassino.
Sicardo lo depose dalla carica di abate e lo gettò nelle carceri di Benevento, tra la costernazioni dei monaci che lo amavano come padre.
Disfatto dalle sofferenze, dai maltrattamenti, dai dolori e dalle amarezze mori poco dopo eroicamente, il 9 ottobre 834.
Quando iniziarono le scorrerie dei Saraceni Montecassino aveva monasteri un po’ dovunque ed uno ne esisteva anche dove oggi sorge San Giovanni Vecchio (AQ) in Valle Roveto, luogo abbastanza isolato perché su di esso cadesse la scelta dell'Abate Bertario per nascondervi le reliquie di San Diodato che erano tra le cose più sacre da mettere in salvo.
(Autore: Antonio Borrelli – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Deusdedit di Montecassino, pregate per noi.

*San Diodoro, Diomede e Didimo - Martiri (9 ottobre)

Emblema: Palma
Martirologio Romano: A Laodicea in Siria, passione dei Santi Diodoro, Diomede e Didimo.
Il Martirologio Romano fa menzione all'11 settembre dei santi Diodoro, Diomede e Didimo, il cui martirio sarebbe awenuto a Laodicea di Siria.
Il Baronio ha introdotto questa commemorazione da fonti bizantine: infatti, diversi sinassari o menologi bizantini commemorano Diodoro e Didimo sia l'11 (o 10) settembre, sia il 9 ottobre.
Secondo il Menologio di Basilio ed un cod. della Biblioteca Ambrosiana (B 104 sup.) Diodoro e Didimo erano due cristiani di Laodicea molto zelanti e operavano numerose conversioni.
Denunziati da certi greci pagani furono trasferiti al tribunale del governatore di Laodicea. Con fermezza e coraggio confessarono Cristo e rifiutarono di rendere culto agli idoli.
Furono condannati a morte e, pur in mezzo ai tormenti, non smisero di ringraziare il Signore, e così compirono il loro martirio.
Quanto a Diomede non viene menzionato che in un solo cod. e non si può dir nulla di lui.
Il Martirologio Siriaco del IV sec. ricorda al 9 ottobre (uno dei giorni dei sinassari bizantini) a Laodicea, Heraclione Diodoro sacerdote e martire.
Non risulta dalle fonti greche che Diodoro sia stato sacerdote, ma non è da escludersi, dato il suo ministero che si svolgeva tra la predicazione e l'amministrazione del Battesimo. Si può dunque pensare che si tratti dello stesso personaggio.
A sua volta il Martirologio Geronimiano menziona Diodoro sempre il 9 ottobre ma lo colloca a Laodicea di Frigia, mentre ricorda un Heracleion il giorno precedente.
Che Laodicea di Siria sia un'invenzione del Baronio non è possibile, perché la fonte greca, riassunta precedentemente, offre già questa precisazione.
Non è però possibile dire quale delle tradizioni, quella dei sinassari o quella del Geronimiano, meriti di essere considerata migliore.
(Autore: Joseph-Marie Sauget – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Diodoro, Diomede e Didimo, pregate per noi.

*San Dionigi e Compagni - Vescovo e Martiri (9 ottobre)

sec. III
Secondo la tradizione, fu il primo vescovo di Parigi, inviato in Gallia dal Papa Fabiano nel 250. Subì il martirio insieme a Rustico ed Eleuterio. Le sue reliquie sono custodite nella Basilica che Santa Genoveffa fece erigere nel 495. Accanto ad essa nel secolo VII sorse la celebre abbazia che da lui prese il nome. (Mess. Rom.)
Etimologia: Dionigi = consacrato a Dioniso (è il dio Bacco)
Emblema: Bastone pastorale, Palma
Martirologio Romano: Santi Dionigi, vescovo, e compagni, martiri: si tramanda che san Dionigi sia giunto in Francia inviato dal Romano Pontefice e, divenuto primo vescovo di Parigi, morì martire nelle vicinanze di questa città insieme al sacerdote Rustico e al diacono Eleuterio.
San Dionigi è citato in vari importanti documenti tutti datati intorno al V-VI secolo; come la ‘Vita di Santa Genoveffa’ ove si dice che la santa verso il 475 costruì a Parigi la chiesa di San Dionigi; lo storico-poeta Venanzio Fortunato, morto verso il 600, anch’egli annota nei suoi scritti la chiesa di s. Dionigi e un’altra esistente a Bordeaux; San Gregorio di Tours (m. 594) nella sua ‘Historia Francorum’ racconta di Dionigi e il suo martirio.
Stranamente in questi antichi autori mancano notizie per i compagni di martirio e di apostolato di Dionigi vescovo, cioè Rustico prete ed Eleuterio diacono; i loro nomi compaiono per la prima volta nel secolo VI-VII nel ‘Martirologio Geronimiano’.
La prima ‘passio’ latina si ha nell’VIII secolo e posiziona al I secolo la venuta in Gallia di Dionigi e compagni, ma una seconda e terza ‘passio’ del IX sec. hanno creato un alone di leggenda intorno alla sua figura. Fu identificato con Dionigi l’Areopagita, convertito da s. Paolo e questa versione andò avanti per parecchio tempo, riportata peraltro in tanti documenti e codici; ma poi altri autorevoli testi e studi successivi hanno definitivamente divise le due figure, che si celebrano distintamente il 3 ottobre per l’Areopagita e il 9 ottobre per Dionigi di Parigi.
La versione più accreditata, lo indica come mandato da Roma insieme agli altri due compagni, ad evangelizzare
nel III secolo, la Gallia, divenendo primo vescovo di Parigi che allora si chiamava Lutezia, organizzatore della prima comunità cristiana sulla Senna, e martire nel 270.
Resta il mistero del silenzio per tre secoli sulle figure di Eleuterio e Rustico, alcuni studiosi affermano che è usanza nel nominare una chiesa, di dire solo il nome del titolare principale; altri fanno l’ipotesi che Dionigi porta il nome del dio Dionisius che fra gli altri epiteti ha anche Eleutherius cioè Libero e inoltre esso era un dio che simboleggiava la natura, sempre percorrendo campi e foreste, quindi un nume rustico, da qui Rusticus.
Con la confusione che ha distinto la storia dei nomi dei santi più antichi, si può supporre che non di compagni si tratti, ma di aggettivi, questo spiegherebbe il silenzio così lungo.
Dionigi a causa delle leggende che l’hanno confuso con l’altro Dionigi l’Areopagita, si è portato con sé, tradizioni, culto e raffigurazioni, provenienti da quel periodo.
Così egli è raffigurato in tante chiese con statue, vetrate, bassorilievi, miniature, lezionari, pale d’altare, dipinti, in buona parte da solo, in vesti episcopali, spesso con la testa mozzata fra le mani; dopo l’VIII secolo è raffigurato anche insieme ad Eleuterio e Rustico.
L’iconografia è ricchissima, testimonianza della diffusione del culto a Parigi ed in tutta la Francia e poi nelle Colonie, essa rappresenta con dovizie di particolari, il processo davanti al governatore Sisinnio, il supplizio della graticola con le fiamme, la santa Comunione ricevuta da Gesù Cristo mentre era in carcere, soprattutto il martirio mediante decapitazione o rottura del cranio, avvenuta a Montmartre e con Dionigi che cammina da lì al luogo della sepoltura, con la testa portata da se stesso con le mani.
Il nome Dionigi e la variante francese Denis e Denise, è di ampia diffusione, mentre Dionisio e Dionisia è molto raro.

(Autore: Antonio Borrelli - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Dionigi e Compagni, pregate per noi.

*San Donnino (o Donino) di Città di Castello - Eremita (9 ottobre)
m. 9 ottobre 610
Martirologio Romano: A Città di Castello in Umbria, San Donnino, eremita.
Donino, o Donnino, visse fra VI e VII secolo, collaborando con il vescovo Florido e il presbitero Amanzio alla ricostruzione di Città di Castello (allora Castrum Felicitatis) dopo la distruzione subita durante la guerra greco-gotica.
Le fonti erudite dei secoli XVII-XVIII ne ricordano la devozione e lo zelo. Alla morte di Florido (599 o 600) e di Amanzio, di poco successiva, Donino abbandonò la vita pubblica per ritirarsi a
vivere nella solitudine eremitica presso la località Rubbiano, territorio che poi passerà alla diocesi di Cortona nel 1325. Si trasferì poi in un secondo eremo, più vicino a Città di Castello, oggi denominato Villa San Donino. Qui il laico eremita morì nell’anno 610.
Durante gli anni della vita eremitica Donino entrò a contatto con la popolazione delle campagne circostanti gli eremi, divenendo per esse un punto di riferimento spirituale un intercessore presso Dio. Il suo corpo è oggi conservato all’interno di un’urna collocata nella chiesa di San Donino nell’omonima località.
ltro luogo legato alla memoria di questo santo è presso Rubbiano, dove esistono alcuni massi e una fonte presso cui i pellegrini pregano per ottenere la guarigione dall’epilessia. Da secoli Donino è invocato contro il morso dei cani idrofobi.
Sebbene laico, Donino è stato in passato raffigurato con i paramenti sacerdotali e il calice, e accanto un piccolo cane. La più antica raffigurazione è contenuta nel paliotto in argento sbalzato e cesellano donato da papa Celestino II alla cattedrale di Città di Castello nel 1144, dove Donino è raffigurato insieme ai santi Florido e Amanzio. Le sue reliquie sono state sottoposte a ricognizione canonica negli anni 1543, 1791 e 1869.
(Autore: Andrea Czortek - Fonte: Enciclopedia dei Santi)

Giaculatoria - San Donnino di Città di Castello, pregate per noi.

*San Donnino di Fidenza - Martire (9 ottobre)

Emblema: Palma
Martirologio Romano: A Fidenza in provincia di Parma sulla via Claudia, san Donnino, martire.
Le varie redazioni della passio di San Donnino, che narrano, con ricchezza di particolari, la sua vita, elencate dai Bollandisti, sono tutte posteriori al sec. V e in gran parte leggendarie.
Sembra siano state compilate sulla falsariga di quella di San Maurizio, ma sono importanti come testimonianza della diffusione del culto.
Il nucleo storico della passio di Donnino si riduce probabilmente a quanto ci ha tramandato una recensione del Martirologio Geronimiano, in cui si legge, al 9 ottobre senza altra precisazione, Natalis San Domnini martyris ed in cui si attesta l'esistenza di un Donnino martire. Non lo commemorano i Martirologi di Beda, Adone, Notkero e il Parvum Romanum.
Usuardo ne ha forse ricevuto notizia da qualche codice del Geronimiano e ci dà un racconto più ampio, probabilmente attinto a una passio, e il suo elogio è passato nel Romano al 9 ottobre.
Niente di certo sappiamo sulla sua patria d'origine e sull'epoca del suo martirio che viene posto alla fine del
III o all'inizio del IV sec.
Il suo culto è legato ab immemorabili al territorio di Fidenza (Parma), che da lui ricevette il nome di Borgo S. Donnino, rimasto fino al 1927, e che ne custodisce, senza che altra località gliele contesti, le reliquie, ragione per cui acquista probabilità, se non vera certezza, la circostanza che egli abbia subito il martirio in quei paraggi.
Il primitivo oratorio fidentino a lui dedicato risale al sec VI; ad esso si sostituì la basilica più antica nel sec. IX e, nel XII, l'odierna monumentale che porta sulla facciata dieci sculture rappresentanti la vita del santo, attribuite alla scuola dell'Antelami.
Viene rappresentato con la palma del martirio, in abito militare, con il capo tronco fra le mani. Il suo culto è assai diffuso specialmente nell'Italia Settentrionale.
Il popolo ricorre a lui per essere guarito dall'idrofobia: questa devozione deve essere antica, poichè è attestata dal racconto di una redazione della passio, secondo il quale il santo guarì un idrofobo, dandogli da bere acqua e vino, dopo averla benedetta e aver invocato il Signore.

(Autore: Guido Tammi - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Donnino di Fidenza, pregate per noi.

*San Gemino - Anacoreta (9 ottobre)

Siria sec. VIII – Ferento (Viterbo), 9 ottobre, 915
San Gregorio Magno, narra di un’eremita Isacco venuto dalla Siria e morto a Spoleto nel 550; questo per spiegare che era frequente che eremiti pellegrini, provenienti dall’Oriente, finissero i loro giorni nell’Italia Centrale.
Così potrebbe essere stato per Gemino, ma in seguito alla grande venerazione popolare che gli venne tributata, un anonimo autore, riempì i vuoti con un racconto leggendario in parte reale, in parte rifacendosi ad analoghe biografie.
Esso afferma che Gemino nacque in Siria nella seconda metà del secolo VIII, dal padre pagano Milisieno e da Belliade; si convertì al Cristianesimo e dopo aver esercitato, come il padre, il mestiere delle armi, decise di dedicarsi in Siria, alla vita eremitica, rinunciando ad una sicura carriera nella pubblica amministrazione.
Come i pellegrini eremitici di allora, prese a girare per vari luoghi, finché si trasferì definitivamente in Italia. Sbarcato sulle coste marchigiane, dimorò per un certo periodo nella zona di Fano (nel monastero di San Paterniano); poi si addentrò all’interno, giungendo verso Spoleto, ed infine arrivò nell’umbra ‘Casventum’, in provincia di Terni, qui condusse vita eremitica e penitente, suscitando la grande ammirazione del popolo che a lui accorreva per i suoi consigli.
Questa città venne poi distrutta da un attacco saraceno e quando fu ricostruita, cambiò il nome in San Gemini, in onore del santo anacoreta poi eletto a suo patrono; chiamata anche Sangemini, oggi è notoriamente conosciuta per le sue sorgenti di acqua minerale.
Negli ultimi anni della sua vita Gemino, entrò in un monastero benedettino, morì a Ferento, cittadina etrusca in provincia di Viterbo, il 9 ottobre 915, quindi centenario.
E’ venerato oltre che a San Gemini, anche a Narni e Viterbo, dove sono conservate alcune sue reliquie.

(Autore: Antonio Borrelli - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Gemino, pregate per noi.

*Beato Giovanni Enrico Newman - Cardinale (9 ottobre)

Londra, Regno Unito, 21 febbraio 1801 – Birmingham, Regno Unito, 11 agosto 1890
John Henry Newman, probabilmente l’uomo di chiesa di spicco dell’Inghilterra del XIX sec., nacque a Londra da una madre ugonotta e da un padre di orientamento religioso molto tollerante.Ancora membro della Chiesa d’Inghilterra, le sue idee in fatto di religione cominciarono a deviare gradualmente da quelle della Chiesa Evangelica d’Inghilterra per abbracciare quelle dell’ala più conservatrice della Chiesa Cattolica finché non si convertì definitivamente al Cattolicesimo Romano nel 1845; subito dopo, venne ordinato prete, ed in seguito eletto cardinale da Papa Leone XIII nel 1879. E' stato beatificato a Birmingham il 19 settembre 2010 da Papa Benedetto XVI.
La memoria è stata fissata al 9 ottobre, non perché questo giorno sia la data della morte del Cardinale inglese, ma perché è la data significativa della sua recezione nella Chiesa Cattolica. L'epitaffio che il Beato Newman volle inciso sulla sua tomba, intarsiato anche sul nuovo altare costruito in suo onore a Birmingham: "Partendo dalle ombre e dalle immagini verso la verità".
Patronato: Ordinariato Personale di Nostra Signora di Walsingham
«Ex umbris et imaginibus in Veritatem» («Dalle ombre e dagli spettri alla Verità»), così recita l’epitaffio sulla tomba del cardinale John Henry Newman (1801-1890), il pastore anglicano che abbracciò il Cattolicesimo dopo lunghi anni di elaborazione intellettuale, filosofica, teologica e che il 19 settembre è stato beatificato a Birmingham da Benedetto XVI, durante il suo viaggio in Gran Bretagna (16-19 settembre 2010).
Tutta la sua vita è la prova più evidente e concreta che la ragione può unirsi alla Fede per approdare a Santa Romana Chiesa, l’unica vera custode degli insegnamenti di Gesù Cristo, Figlio di Dio, Via, Verità e Vita. Ancora cardinale, Joseph Ratzinger, il 28 aprile 1990, in occasione del centenario della morte di Newman, dichiarò: «… fu la sua coscienza che lo condusse dagli antichi legami e dalle antiche certezze dentro il mondo per lui difficile e inconsueto del Cattolicesimo. Tuttavia, proprio questa via della coscienza è tutt'altro che una via della soggettività che afferma se stessa: è invece una via dell'obbedienza alla verità oggettiva. Il secondo passo del cammino di conversione che dura tutta la vita di Newman fu infatti il superamento della posizione del soggettivismo evangelico [nel senso del Protestantesimo, che nega il valore della Tradizione, n.d.r], in favore d'una concezione del Cristianesimo fondata sull'oggettività del dogma».
A condurre il professore e pastore Newman verso il Cattolicesimo fu certamente lo studio che con amore dedicò ai Padri della Chiesa, ma altrettanto determinante, come vigoroso stimolo intellettuale alla conversione, risultò il cammino che fece all’Università di Oxford, all’interno dell’ Oxford Movement, nato nel 1833, nel quale confluirono i suoi grandi amici anglicani, Kelbe, Pusey, Ward, Faber, teso ad un’interpretazione della Chiesa d’Inghilterra come una «Via media», tra gli errori del Protestantesimo da un lato e quelli di Roma dall’altro.
Tuttavia, nel febbraio 1841, nel documento Tract 90, Newman scrisse che i 39 articoli della Fede anglicana (stilati nel 1571) non erano compatibili con l’essenza del Cristianesimo, fino a comprendere
che Roma è «in verità le antiche Antiochia, Alessandria e Costantinopoli, così come una curva matematica ha la propria legge e la propria espressione».
Il 26 settembre 1843 pronunciò l’ultima omelia come vicario anglicano della parrocchia di Littlemore, dove, l’8 ottobre 1845, si recò il passionista Domenico Barberi, l’Apostolo dell’Inghilterra, beatificato da Paolo VI nel 1963. Aveva viaggiato per cinque ore di seguito sotto la pioggia, seduto a cassetta di una vettura di linea. Erano le undici di sera ed egli stesso ricorderà: «Mi sedetti accanto al fuoco per asciugarmi. La porta si aprì e quale impressione fu per me quella di vedere comparire improvvisamente John Henry Newman che mi chiedeva di ascoltare la sua confessione e di essere accolto fra le braccia della Chiesa! E lì, accanto al fuoco, iniziò la sua confessione generale con straordinaria umiltà e devozione».
Mirabili tracce del cammino lungo e faticoso della sua conversione le ritroviamo nell’Apologia pro vita sua, opera che Newman scrisse per  difendersi dagli attacchi di chi gli era diventato nemico, dopo che aveva abbracciato la vera Fede. In queste pagine ritroviamo la personalità magnetica di un autore che ripercorre virtualmente l’intera evoluzione dell’Occidente, dall’epoca in cui la cultura classica diffuse il suo lievito formativo, a quando il Cristianesimo trasformò i parametri umani dirigendoli verso la dimensione ultraterrena, fino a giungere alle vicende della nuova civiltà, che, così simili a quelle dell’Israele biblico, portarono alle divisioni e alle distorsioni del progetto originario, di cui l’epoca moderna è sofferente protagonista.
Tutto ciò espresso con spirito non conformista, ma con libertà di indagine e chiarezza di giudizio. La confessio fidei di questo innamorato e testimone della Verità diventa illuminazione decisiva e tagliente, come «una spada a doppia lama», sulla storia occidentale e, di conseguenza, sulla radice della sua vitalità e sulle ragioni della sua decadenza.
I semi della Grazia e della dottrina, depositati in lui già quando era calvinista e poi anglicano, avevano raggiunto un grado di sviluppo tale da imporgli moralmente la conversione. Di sé scriverà: «entrò nella Chiesa cattolica perché credeva che questa e solo questa fosse la Chiesa dei Padri; perché credeva che esistesse solo una Chiesa sulla terra, fino alla fine dei tempi; e perché, a meno che questa Chiesa fosse la Chiesa di Roma non ne esistevano altre».
Degno erede della Scolastica e di san Tommaso d’Aquino, Newman ci aiuta a comprendere la bellezza della Sposa di Cristo, sempre nuova nella sua eternità, dove la Tradizione, con i suoi Padri, «che mi fecero cattolico», assume i connotati della risorsa sicura per la purezza della Fede.
Tutto il pensiero del grande cardinale inglese, che lo condusse dalle ombre alla luce, impasta costantemente la sua vita, fino ad identificarla con esso. Non abbiamo di fronte a noi semplicemente un maestro di cattedra che illustra lo sviluppo filosofico, storico e teologico delle sue scoperte ed intuizioni, ma abbiamo un’anima che trova, passo passo, ostacolo dopo ostacolo, sofferenza spirituale dopo sofferenza, l’approdo all’Oggetto del suo amore: la Verità e con essa tutta la ricchezza di stampo cristologico e mariologico.
John Henry Newman è uno dei più grandi e prolifici prosatori inglesi, nonché il più autorevole apologeta della Fede che la Gran Bretagna abbia prodotto e sicuramente egli si pone nella schiera di quei convertiti che con il loro insegnamento e la loro testimonianza hanno inciso nella storia del mondo, accanto a personalità come san Paolo, Sant'Agostino e Gilbert Keith Chesterton. Newman comprese che il compito della Chiesa non è tanto quello di stimolare novità in campo dottrinale, quanto quello di vigilare che tali novità, lasciate al genio personale dei singoli, illuminato dalla costante azione dello Spirito Santo, non debordino mai dal vero quando la presunzione individuale non permette più di ascoltare la voce di Dio; tale vigilanza deve essere anche attuata con atteggiamenti repressivi, quando è necessario: «Nella ricerca teologica sono sempre stati gli individui e non la Santa Sede a prendere l’iniziativa e a dare le direttive all’intelligenza cattolica. Anzi, uno dei rimproveri che si muovono alla Chiesa cattolica è quello di non aver fatto nulla di nuovo e di avere soltanto servito da remora o freno allo sviluppo della dottrina. È un’obiezione che io accetto come verità: perché penso che quello sia proprio lo scopo principale del suo straordinario dono».
Spiegò con parole di un’attualità disarmante e sconcertante, in quello che è stato definito il Biglietto Speech, stilato nel 1879 in occasione del conferimento della berretta cardinalizia: «Per trenta, quaranta, cinquant’anni ho cercato di contrastare con tutte le mie forze lo spirito del liberalismo nella religione. Mai la santa Chiesa ha avuto maggiore necessità di qualcuno che vi si opponesse più di oggi, quando, ahimé! si tratta ormai di un errore che si estende come trappola mortale su tutta la terra; e nella presente occasione, così grande per me, quando è naturale che io estenda lo sguardo a tutto il mondo, alla santa Chiesa e al suo futuro, non sarà spero ritenuto inopportuno che io rinnovi quella condanna che già così spesso ho pronunciato.
Il liberalismo in campo religioso è la dottrina secondo cui non c’è alcuna verità positiva nella religione, ma un credo vale quanto un altro, e questa è una convinzione che ogni giorno acquista più credito e forza. È contro qualunque riconoscimento di una religione come vera. Insegna che tutte devono essere tollerate, perché per tutte si tratta di una questione di opinioni.
La religione rivelata non è una verità, ma un sentimento e una preferenza personale; non un fatto oggettivo o miracoloso; ed è un diritto di ciascun individuo farle dire tutto ciò che più colpisce la sua
fantasia. Si possono frequentare le Chiese protestanti e le Chiese cattoliche, sedere alla mensa di entrambe e non appartenere a nessuna. Si può fraternizzare e avere pensieri e sentimenti spirituali in comune, senza nemmeno porsi il problema di una comune dottrina o sentirne l’esigenza. Poiché dunque la religione è una caratteristica così personale e una proprietà così privata, si deve assolutamente ignorarla nei rapporti tra le persone. Se anche uno cambiasse religione ogni mattina, a te che cosa dovrebbe importare?».
Quando Leone XIII lo creò cardinale, scelse, per il suo stemma, il motto, tratto da san Francesco di Sales, «Cor ad cor loquitur»: «Il Cuore parla al cuore», quello del Creatore a quello della Sua creatura. Trovò, inoltre, negli Oratoriani di san Filippo Neri la sua giusta dimensione religiosa e a  Birmingham costituì la Congregazione filippina del Regno Unito e da quella casa, dove finalmente era giunto, dopo tanta ansiosa e bramosa attesa, prese ad indicare, con lo slancio, l’abnegazione e la passione che lo avevano sempre contraddistinto, la via maestra agli uomini del suo e del nostro tempo.

(Autore: Cristina Siccardi - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Giovanni Enrico Newman, pregate per noi.

*San Giovanni Leonardi - Sacerdote (9 ottobre)

Diecimo, Lucca, 1541 - Roma, 9 ottobre 1609
Nato a Diecimo, nella lucchesia, nel 1541 Giovanni Leonardi a 26 anni fa il farmacista. Quando la prospera repubblica viene colpita da una grave crisi decide di soccorrere i poveri e l'esperienza lo porta a diventare prete nel 1572. Ama l'insegnamento, lo fa prima con i bambini e poi con gli adulti. Nel 1574 fonda la famiglia religiosa dei «Chierici regolari della madre di Dio» e diventa un protagonista della riforma cattolica.
A Lucca cominciano a non amarlo e così, nel 1584 mentre si trova a Roma, viene bandito in perpetuo dalla sua città perché disturba l'ordine pubblico e manca di rispetto all'autorità costituita. A Roma, però, cresce il suo prestigio e Clemente VIII lo manda a riordinare congregazioni religiose e riformare monasteri.
Muore a Roma nel 1609 e viene proclamato Santo da Pio XI nel 1938. (Avvenire)
Etimologia: Giovanni = il Signore è benefico, dono del Signore, dall'ebraico
Martirologio Romano: San Giovanni Leonardi, sacerdote, che a Lucca abbandonò la professione di farmacista da lui esercitata, per diventare sacerdote. Fondò, quindi, l’Ordine dei Chierici regolari, poi detto della Madre di Dio, per l’insegnamento della dottrina cristiana ai fanciulli, il rinnovamento della vita apostolica del clero e la diffusione della fede cristiana in tutto il mondo, e per esso dovette affrontare molte tribolazioni. Pose a Roma le fondamenta del Collegio di Propaganda Fide e morì in pace in questa città, sfinito dal peso delle sue fatiche.
Nella Bolla della sua canonizzazione, san Giovanni Leonardi è definito uno dei maggiori apostoli del secolo della Riforma cattolica. Un impegno, il suo, che gli costò opposizioni, calunnie e persino la messa al bando dal suo paese natale, ma che non diminuì in alcun modo la sua azione profetica. Nato a Diecimo presso Lucca nel 1541, da una famiglia di modesti proprietari terrieri, fu mandato a Lucca per imparare l’arte dello speziale, come si chiamava allora il farmacista. Lì frequentò il gruppo dei cosiddetti “Colombini”, impegnati a vivere da autentici cristiani assistendo i poveri e i pellegrini. Avvertita la vocazione al sacerdozio, a 26 anni, su consiglio del suo direttore spirituale, abbandonò la professione di farmacista per iniziare gli studi ecclesiastici e nel 1571 celebrò la sua prima Messa. Da allora si dedicò alla predicazione, alla confessione e soprattutto all’insegnamento della dottrina cristiana secondo le norme emanate dal Concilio di Trento.
Con l’aiuto di alcuni “Colombini” cominciò a riunire nella chiesa di San Giovanni i ragazzi del rione per un tipo di catechesi che, per quei tempi, costituiva una novità e per questo spinse il vescovo a
conferirgli l’incarico di insegnare la dottrina in tutte le chiese di Lucca: alle “lezioni” del Santo accorrevano anche gli adulti, conquistati dal suo metodo.
Dalla città questo apostolato si estese anche alle parrocchie vicine, promuovendo una confortante ripresa della vita cristiana in un ambiente caratterizzato, oltre che dalla decadenza dei costumi, dalla presenza di alcuni predicatori eretici.
Per dare continuità alla sua iniziativa, il Leonardi fondò una Compagnia della Dottrina Cristiana gestita da laici, con regolari statuti approvati dal vescovo, la quale si diffuse in altre città italiane come Pescia, Pistoia, Siena, Napoli e Roma. A Lucca, inoltre, egli si impegnò nella promozione della pratica delle Quarantore e della Comunione frequente.
Un ulteriore passo si ebbe nel 1574, quando prese avvio la Confraternita dei preti Riformati, i cui membri avrebbero poi preso il nome di Chierici Regolari della Madre di Dio. A questo punto lo zelo del santo si scontrò con l’opposizione di gruppi comprendenti non solo eretici, ma anche sacerdoti e laici, che mal sopportavano la sua azione riformatrice e che costrinsero i membri della congregazione ad abbandonare la chiesa di Santa Maria della Rosa per trasferirsi in quella di Santa Maria Corteorlandini.
Nel 1581 l’autorità diocesana riconobbe il nuovo Ordine, che due anni dopo tenne il suo primo Capitolo generale in cui il Leonardi fu eletto superiore generale. Egli partì per Roma per ottenere l’approvazione dello statuto che era stato approvato dal vescovo nel 1584, e durante la sua assenza si scatenò una furiosa campagna denigratoria contro di lui da parte dei magnati della città che, sobillati da alcuni sacerdoti ed eretici, emisero un decreto con cui lo bandivano in perpetuo come nemico della patria, con l’accusa di perturbare l’ordine pubblico e di non rispettare le autorità costituite. Un’inchiesta sollecitata dal santo per accertare le presunte colpe non ebbe esito, ma si continuò ugualmente a perseguitarlo.
Persino alcuni membri della sua comunità entrarono in conflitto tra loro, ma egli comunque dimostrò sempre magnanimità e carità verso i suoi persecutori. A Roma, dove rimase in esilio per alcuni anni, si fece apprezzare dalla Curia per le sue qualità di sacerdote e per la coerenza della sua condotta.
Entrò in amicizia con san Filippo Neri che lo presentò a papa Clemente VIII e questi nel 1582 lo incaricò di dirimere una delicata situazione creatasi nel santuario della Madonna dell’Arco, in diocesi di Nola, circa l’amministrazione delle offerte dei pellegrini. Condotta felicemente a termine questa missione, il Pontefice lo inviò come Visitatore apostolico alla congregazione di Montevergine, un insigne ramo dell’Ordine benedettino nell’avellinese, per promuoverne la riforma: egli durante cinque anni visitò tutti i monasteri personalmente, rendendosi conto dei disordini e degli abusi che avevano determinato lo scadimento di quella famiglia religiosa; soppresse i monasteri con meno di dodici membri e negli altri varò norme uniformi circa il vitto, il vestito e le suppellettili in ossequio al voto di povertà.
Inoltre, eliminò le ingerenze laicali nella vita delle comunità monastiche, provvide alla nomina delle cariche e creò un noviziato pilota che servisse di esempio agli altri monasteri.
Il Papa gli ordinò di recarsi a Lucca per visitare i suoi discepoli, che egli esortò alla carità e all’osservanza delle Costituzioni. Analoghi compiti di riforma gli furono poi affidati tra i benedettini di Vallombrosa, dove il santo rimosse le cariche, corresse gli abusi, ai novizi ordinò la confessione e la comunione settimanali, e a tutti la meditazione e gli esercizi spirituali.
Intanto a Roma gli veniva affidata la chiesa di S. Maria in Portico, dove introdusse subito il regolare insegnamento della dottrina cristiana; inoltre fu chiamato come direttore spirituale nel monastero delle Cappuccine di S. Urbano e in quello delle Oblate di Santa Francesca Romana. Fu anche mandato in visita alla comunità del Chierici regolari delle Scuole Pie (gli Scolopi), diventando amico del loro fondatore, san Giuseppe Calasanzio. Tra il 1607 e il 1608, con il prelato spagnolo G. Battista Vives e il gesuita Martin de Funes, progettò una congregazione di preti che avessero come scopo precipuo la
propaganda cristiana tra gli infedeli: nacque così nel 1603 quello che poi sarebbe diventato il Collegio Urbano di Propaganda Fide, del quale il santo è considerato il cofondatore. In quello stesso anno il card. Baronio, collaboratore di san Filippo Neri, che era stato nominato Protettore della Congregazione, lo volle superiore generale della stessa, nonostante l’opposizione dei notabili lucchesi che non avevano cessato di essergli ostili perché ritenevano che il Leonardi sarebbe stato un inviato dell’Inquisizione che essi non volevano a Lucca.
Il santo visse i suoi ultimi anni a Roma, dove morì l’8 ottobre 1609. Dapprima sepolto in Santa Maria in Portico, fu poi traslato nella chiesa di Santa Maria in Campitelli, divenuta la sede generalizia dell’Ordine. Beatificato da Pio IX nel 1861, fu canonizzato da Pio XI il 17 aprile 1938.
Di particolare interesse tra gli scritti del santo è il celebre Memoriale a Paolo V per la riforma generale di tutta la Chiesa: in esso l’autore rivolge al Pontefice un caldo invito a promuovere una serie di interventi quali, ad esempio, la celebrazione di sinodi nazionali, che consentano un’attenta diagnosi dei mali che travagliano la Chiesa; il potenziamento della catechesi dei fanciulli perché «fin dai primi anni siano educati nella purezza della fede cristiana e nei santi costumi»; il rinnovamento del clero che, a suo avviso, «è la necessaria premessa per la riforma anche dei laici». Un documento, come si vede, di evidente portata profetica.

(Autore: Angelo Montonati - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Giovanni Leonardi, pregate per noi.

*San Gisleno (Gisileno), Lamberto e Bernero - Monaco (9 ottobre)

Nato in Grecia - m. 9 ottobre 680/685
Gisleno (o Gisileno) è in genere commemorato con i discepoli Lamberto e Berlero. Greco, nato all'inizio del VII secolo, divenne monaco basiliano. Trasferitosi a Roma, il Papa lo inviò in Belgio con i due compagni.
Dopo un periodo di romitaggio approdò a Ursidong, nell'Hainaut. Portò alla vita monastica molte nobili, tra cui tre sante: Aldegonda, Aldetrude e Madelberta.
È invocato contro l'epilessia, detta anche "male di San Gisleno", le malattie infantili e nei parti difficili.
Morì tra 680 e 685. (Avvenire)
Martirologio Romano: Nella regione dell’Hainault in Austrasia, nell’odierno Belgio, San Gisleno, che condusse vita monastica in una cella da lui stesso costruita.
Gisileno, Lamberto e Berlero, monaci, santi.
La vita di Gisleno, giunta a noi in diversi esemplari con varianti non sostanzíali, non risale al di là dei secc. X e XI; sembra però che essa dipenda da una biografia piú antica oggi perduta. Gisleno, nato in Grecia al principio del sec. VII, compí i suoi studi ad Atene, poi abbandonò il secolo per seguire la Regola di San Basilio.
In seguito fu ordinato sacerdote e secondo una tradizione tardiva ed erronea sarebbe diventato vescovo di Atene.
Abbandonata la Grecia, si trasferí a Roma ove dal papa venne inviato insieme coi discepoli Lamberto e Berlero in Belgio.
Tutto ciò può sembrare inverosimile anche perché il nome stesso di Gisleno (Gisleno), è di origine germanica; tuttavia si deve notare che nella stessa epoca, Teodoro, di origine orientale, fu nominato arcivescovo di Canterbury in Inghilterra.
Dopo aver vissuto come eremita in varie regioni dell'Aquitania e della Germania si stabilí nella zona dell'Hainaut e precisamente ad Ursidong, che prese poi il suo nome e ove piú tardi sorse un monastero.
Molti vescovi ebbero per lui profonda stima e venerazione; Auberto di Cambrai lo protesse in modo particolare e volle consacrargli la cappella del monastero, dedicata ai Principi degli Apostoli, e San Valtrude gli fece dono di terre e di oratori.
Gisleno esercitò una forte influenza sulle donne della nobiltà che stimolò alla vita monastica come Sant'Aldegonda, Sant'Aldetrude, Santa Madelberta e la ricordata Valtrude.
Sarebbe morto vecchio il 9 ottobre fra il 680 e il 685; il culto è già testimoniato nel sec. IX. Il santo è particolarmente invocato contro l'epilessia, detta anche "male di San Gisleno", le malattie dei bambini ed in occasione di parti difficili.
I due discepoli del Santo Lamberto e Berlero sono generalmente commemorati con lui.

(Autore: Gian Domenico Gordini - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Gisleno, Lamberto e Bernero, pregate per noi.

*San Guntero - Eremita (9 ottobre)

Kaefernburg, Arnstadt 955 circa - 9 ottobre 1045
Martirologio Romano: A Břevnov in Boemia, deposizione di san Guntero, eremita, che, rigettati i piaceri mondani, si ritirò dapprima nel rifugio della vita monastica e in seguito anche nel profondo isolamento delle foreste tra la Baviera e la Boemia, dove visse e morì tanto unito a Dio quanto lontano dagli uomini.
Nacque intorno al 955 da una nobile famiglia della Turingia, probabilmente a Kaefernburg, presso Arnstadt. Dei primi cinquantanni della sua vita si sa ben poco, comunque era illetterato e si era dato alla vita militare. Nel febbraio o marzo del 1006, di ritorno da un pellegrinaggio di penitenza a Roma, si fa converso nel monastero benedettino di Niederaltaich, rinunciando ai suoi beni in favore del monastero di Goellingen, filiale di Hersfeld.
L’avvenimento suscitò grande sorpresa, ed è registrato anche da Lamberto di Hersfeld: «1006 Guntherus, nobili vir de Thuringia, monachus factus est Herveldiae, sed postea ad Altaha transivit consilio Gotehardi abbatis».
Guntero da Niederaltaich si trasferì per poco tempo a Goellingen, ma la vita cenobitica non lo soddisfece, sì che nel 1008 scelse quella eremitica, ritirandosi nelle foreste bavaresi. Nel 1011 si stabilì in vicinanza di Rinchnach, dove nel 1012 venne raggiunto da altri monaci di Niederaltaich, coi quali formò una comunità. La loro chiesa fu benedetta dal vescovo di Passau, il 29 agosto 1019. Ogni
monaco viveva in una cella propria, ma pregavano e mangiavano in comune. La vita della comunità è descritta da Arnoldo da Regensburg nel II volume della Vita Emmerami, composta intorno al 1036, e da Wolfher da Hildesheim, nelle due redazioni della sua Vita Godehardi episcopi, rispettivamente del 1034 e del 1054.
Il 1° gennaio 1029, l’imperatore Corrado II fece una donazione alla chiesa di Rinchnach «a Guntherio monacho inibi primitus heremiticam vitam ducente constructam in honore victoriosissimae crucis sanctaeque Dei Genitricis Mariae necnon b. Iohannis Baptisiae in usum fratrum ibi Deo sub regula S. Benedicti servientium...».
Guntero svolse anche un’attività missionaria tra gli Ungheresi, Slavi e Boemi; essendo parente della regina Gisella d’Ungheria, fu probabilmente per l’intervento di questa che re Stefano, il santo, lo invitò in Ungheria a prender parte nell’opera della conversione degli Ungheresi. Il primo viaggio di Guntero in Ungheria ebbe luogo nel 1015 o 1016, ma secondo la Vita S. Stephani regis Ungarorum di Hartwick, Guntero vi soggiornò varie volte. Per sua iniziativa il re fondò l’eremo di Bakonybél, dove visse ritirato per un certo periodo anche Gerardo, vescovo di Csanàd.
Guntero funse da consigliere di Corrado II nelle sue imprese dirette alla conquista della Borgogna; nel gennaio del 1040 partecipò al placito di Augusta; Enrico III, che si dice legato a Guntero da rapporti di amicizia, in quello stesso mese donò la difesa di Rinchnach con tutti i suoi beni al monastero di Niederaltaich. Sempre nel 1040 Guntero funse da legato dell’imperatore nella guerra da questi sostenuta contro il duca di Boemia è secondo l’«Annalista Sassone», il ristabilimento della
pace spetta in parte al suo intervento.
Guntero lasciò Rinchnach nel 1040 e si ritirò in solitudine per gli ultimi cinque anni della sua vita. Morì novantenne, il 9 ottobre 1045 e fu sepolto nel monastero di Brevnov, presso Praga. Fu ben presto onorato di pubblico culto assai vivo nel secolo XIII. Benché il processo di canonizzazione non sia mai giunto ad una conclusione, si possono tuttavia citare delle testimonianze indirette di una conferma del culto. A Niederaltaich se ne celebra la festa il 9 ottobre col rito di seconda classe, mentre a Passau con rito di terza. Immagini del santo si trovano a Rinchnach e a Dobravada dove morì. Le sue reliquie si dispersero nel 1420 nella devastazione ussita.
La fonte principale della storia di Guntero è la Vita Guntheri Eremitae auctore anonimo.

(Autore: Edith Pasztor - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Guntero, pregate per noi.

*Santi Innocenzo dell’Immacolata (Emanuele Canoura Arnau) ed 8 compagni - Religiosi e martiri (9 ottobre)
† Turón, Spagna, 9 ottobre 1934
Martirologio Romano: In località Turón nelle Asturie in Spagna, santi martiri Innocenzo dell’Immacolata (Emanuele) Canoura Arnau, sacerdote della Congregazione della Passione, e otto compagni, dei Fratelli delle Scuole Cristiane, che, nelle avverse circostanze dei loro tempi, conseguirono la suprema vittoria sterminati in odio alla fede senza processo.
Sorvolando sulle cause della guerra civile in Spagna, il cui culmine, per quanto riguarda la persecuzione anticlericale, si ebbe dal 1936 al 1939 possiamo almeno dire che storicamente essa ebbe le prime sanguinose avvisaglie già nel 1931 con le sommosse, rappresaglie e vendette nelle Asturie, regione mineraria della Spagna a forte concentrazione operaia e marxista.
Gli scontri nella regione fra la forza pubblica e le varie fazioni politiche in lotta fra loro, portarono a più di mille morti e migliaia di feriti, specie ad Oviedo la capitale.
I rivoltosi rossi si distinsero per la loro aggressività nei confronti di religiosi e sacerdoti,
imprigionati ed uccisi senza ragione, se non quella di essere educatori, assistenti ospedalieri, dispensatori di pace spirituale.
Le vittime furono 33; Dieci sacerdoti diocesani, sei seminaristi, 3 passionisti, 3 vincenziani, 2 gesuiti, 1 carmelitano e otto fratelli delle Scuole Cristiane.
Proprio questi ultimi otto Fratelli sono celebrati in questa memoria, essi insieme ad un padre passionista, subirono il martirio il 9 ottobre 1934, a Turòn presso Oviedo, dove avevano una grande scuola.
Celebravano la Santa Messa, quando la mattina del 5 ottobre, una trentina di persone violente irruppero nella chiesa e prelevarono gli otto confratelli e il padre che era venuto per le confessioni, furono rinchiusi in una “Casa del popolo” per quasi quattro giorni.
La notte del 9 ottobre furono presi e in silenzio, per evitare un allarme fra i fedeli che sapevano della loro reclusione, facendo finta che trattavasi di un trasferimento, insieme a due ufficiali dei carabinieri che erano in ostaggio, portati al cimitero di Turòn ove era stata preparata una grande fossa e lì furono mitragliati con due scariche, con negli occhi la visione della loro scuola che si vedeva poco distante.
I loro nomi sono: Fr. Cirilo Bertràn, fr. Marciano José, fr. Victoriano Pio, fr. Benjamin Juliàn, fr. Julian Alfredo, fr. Augusto Andrés, fr, Benito de Jesùs, fr. Aniceto Adolfo, padre Inocencio de la Immaculada.
Il più piccolo aveva 22 anni.
Beatificati da Giovanni Paolo II il 19 aprile 1990 e e dallo stesso papa canonizzati il 21 novembre 1999.
Padre Innocenzo dell’Immacolata (Emanuele Canoura Arnau) sacerdote passionista
Emanuele Canoura Arnau, nacque il 10 marzo 1887 a Santa Lucia del Valle de Oro (Lugo) Spagna; ancora adolescente avvertì la chiamata allo stato religioso e a 18 anni entrò a far parte della Congregazione dei Passionisti, fondata da San Paolo della Croce nel Settecento; giacché sin da piccolo fu devoto alla Madonna, volle prendere il nome di Innocenzo dell’Immacolata, quando emise la professione religiosa il 27 luglio 1905.
Studiò con notevole profitto teologia, filosofia e altre scienze ecclesiastiche, venendo ordinato sacerdote il 20 settembre 1913. Quasi subito fu impegnato dai superiori a formare i nuovi missionari passionisti e nella predicazione; buona parte della sua vita, la passò nell’insegnamento ai giovani studenti, nelle varie Comunità passioniste della provincia del Preziosissimo Sangue di Madrid.
Essendo membro della comunità di Mieres (Asturias), il 4 ottobre 1934 i superiori richiesero la sua disponibilità per confessare gli alunni dei Fratelli delle Scuole Cristiane del vicino paese di Turón. In quell’anno si ebbero le prime avvisaglie di quella grande carneficina, che fu la Guerra Civile Spagnola, che sconvolse parte della Nazione, dal 1936 al 1939.
Le vittime religiose furono più di 7300; ma già nel 1934 vi fu la Rivoluzione delle Asturie, regione della Spagna settentrionale che va dai monti Cantabrici al golfo di Biscaglia, e il 5 ottobre 1934 i rivoluzionari atei penetrarono nel collegio dei Fratelli delle Scuole Cristiane di Turón, catturando otto fra studenti e religiosi, più il padre Innocenzo Canoura Arnau, arrivato il giorno prima per confessarli.
Dopo vari giorni di prigionia e di grandi privazioni e sofferenze, in cui il padre passionista, unico sacerdote, si adoperò a confortare gli altri, quasi tutti giovani, e senza alcun processo, furono fucilati in odio alla fede, il 9 ottobre 1934 nel cimitero di Turón.
L’orrore del loro sacrificio innocente, non bastò di lì a due anni a fermare la grande persecuzione contro la Chiesa spagnola.
(Autore: Antonio Borrelli)
Fratel Cirilo Bertran (José Sanz Tejedor), direttore della comunità.
Nacque a Lerma, nella provincia di Burgos, il 20 marzo 1888. I genitori erano umili lavoratori: da essi apprese l'austerità, lo spirito di sacrificio e l'attaccamento alla religione. Entrò nel Noviziato dei Fratelli delle Scuole Cristiane a Bujedo il 12 luglio 1905. Nella sua vita apostolica si mostrò molto impegnato e zelante. Le doti di saggezza e di prudenza non comuni dimostrate da Fratel Cirilo, unite alla sua intensa vita spirituale e al grande zelo apostolico, spinsero i suoi superiori ad affidargli mansioni sempre più impegnative.
Infatti fu nominato Direttore della scuola di Riotuerto, nei pressi di Santander e poi di quella di San José, detta del Circolo Cattolico nello stesso capoluogo. Nel 1933 gli fu affidata la direzione della scuola di Nostra Signora di Covadonga a Turón.
Non era un posto tranquillo perché al centro della regione mineraria dove erano i più fanatici propugnatori della rivoluzione proletaria. La presenza del nuovo direttore servì a rasserenare non poco i Fratelli della Comunità, piuttosto inquieti per quello che poteva accadere. Nell'estate del 1934 con gli altri Direttori delle scuole della Provincia religiosa del nord della Spagna, seguì un mese di ritiro a Valladolid: fu la preparazione immediata al suo incontro col Signore nel martirio, che avvenne dopo qualche mese.
Fratel Marciano José (Filomeno Lopez Lopez)
Nacque a El Pedregal (Guadalajara) il 15 novembre 1900, in una famiglia di lavoratori. Fin da bambino apprese a sopportare i disagi del lavoro e ad affrontare con coraggio le difficoltà della vita. Dietro suggerimento di uno zio entrò appena dodicenne nell'aspirantato dei Fratelli delle Scuole Cristiane a Bujedo, ma una infermità all'orecchio lo costrinse a ritornare in famiglia. Dietro sua insistenza fu ripreso nella Congregazione, a condizione di dedicarsi a lavori manuali.
Accettò. Emise i primi voti il 9 luglio 1919. Fece la professione perpetua il 9 luglio 1925. Era a Mieres nel 1934 quando si offrì di sostituire un Confratello che chiedeva di essere trasferito da Turón impaurito dalle tensioni che non promettevano nulla di buono. Era da poco arrivato nella nuova comunità quando il Signore gli fece unire il suo al destino di tutti i membri della Comunità nel martirio.
Fratel Victoriano Pio (Claudio Bernabè Cavo)
Nacque a San Millàn de Lara (Burgos) il 7 luglio 1905. Lo stesso giorno fu battezzato. Trascorse gli anni della sua formazione lasalliana in Bujedo. Emise i primi voti nel 1923. Aveva la passione per la musica, ed oltre all'insegnamento ordinario, organizzava il coro delle scuole dove veniva di volta in volta trasferito. Emise i voti perpetui il 22 agosto 1930.
Le leggi inique del 1933 costringevano i Fratelli, per prudenza, a cambiar spesso di luogo. Come il Confratello Marciano, nel 1934 gli venne richiesto di recarsi a Turón per completare la comunità. Era in questa scuola soltanto da un mese quando il Signore gli chiese il sacrificio della vita.
Fratel Julian Alfredo (Vilfrido Fernandez Zapico)
Nacque a Cifuentes de Rueda (León) il 24 dicembre 1903. I buoni esempi dei genitori e l'influenza di uno zio sacerdote col quale dovette vivere un certo tempo dopo la morte prematura della madre, lo fecero crescere in un'atmosfera di pietà e lo inclinarono a seguire molto giovane la vita religiosa. A 17 anni entrò nel noviziato dei Padri Cappuccini di Salamanca, ma dopo poco tempo, un'inattesa malattia lo costrinse a ritornare a casa.
Una volta guarito, attese invano la riammissione tra i Cappuccini. Conobbe allora i Fratelli delle Scuole Cristiane che lo accettarono a 22 anni nel loro noviziato di Bujedo.
Fece la prima professione religiosa il 15 agosto 1927. Il 28 agosto 1932 emise i voti perpetui. Era al suo secondo anno di apostolato a Turón quando il Signore pose sul capo di questo religioso generoso e fedele la corona del martirio.
Fratel Benjamin Julian (Vicente Alonso Andrés)
Nacque a Jaramillo de la Fuente (Burgos) il 27 ottobre 1908. A soli 12 anni entrò nell'aspirantato dei Fratelli delle Scuole Cristiane di Bujedo. Emise i primi voti il 15 maggio 1926. Nell'insegnamento incontrò molte difficoltà, compensate tuttavia da una volontà ferrea di voler a tutti i costi riuscire. I suoi sforzi furono coronati da successo, tanto che quando i superiori vollero trasferirlo dalla scuola di Santiago de Compostella a Turón, le famiglie cercarono di impedirlo.
Ma era volontà del Signore che egli fosse nella scuola di Turón nel 1934, proprio in tempo per richiedergli il dono della vita nel martirio. Aveva da poco (il 30 agosto 1933) emesso i voti perpetui.
Fratel Benito de Jesus (Hector Valdivielso)
Nacque a Buenos Aires (Argentina) il 31 ottobre 1910, figlio di poveri emigrati. Fu battezzato nella centralissima chiesa di San Nicola di Bari, che sorgeva nella zona dove ora troneggia il famoso obelisco dell'Avenida 9 de Julio. Quando le difficoltà finanziarie costrinsero i genitori a far ritorno in Spagna, entrò tra i Fratelli delle Scuole Cristiane frequentando il Noviziato missionario che la Congregazione aveva a Lembecq-lez-Hal in Belgio, perché era desideroso di andare un giorno a svolgere la sua opera apostolica nella terra che gli aveva dato i natali.
In attesa di poter realizzare il suo sogno i superiori lo destinarono alla scuola di Astorga (León). Nel 19331o trasferirono a Turón. La sua consacrazione ai giovani rese lui, giovane, un candidato di elezione per il martirio che non tardò a giungere. E il primo santo argentino.
Fratel Aniceto Adolfo (Manuel Seco Gutierrez)
Con i suoi 22 anni appena compiuti era il più giovane della comunità. Era nato a Celada Marlantes (Santander) il 4 ottobre 1912. Orfano di madre fin dalla tenera età, fu educato molto cristianamente dal padre, insieme ai suoi fratelli, tanto che ben tre di loro divennero religiosi tra i Fratelli delle Scuole Cristiane. Entrò da ragazzo nell'aspirantato di Bujedo. Qualche mese dopo il suo ingresso veniva raggiunto dalla triste notizia della morte del padre. Il 2 febbraio 1930 emise i primi voti e quelli triennali nel 1931.
Due anni dopo, conseguito il diploma di insegnante, fu destinato all'Istituto Nuestra Senora de Lourdes a Valladolid. Vi rimase solo un anno, perché nell'estate seguente fu destinato alla scuola di Turón. Il sereno ed amichevole sorriso che sempre mostrava nel volto, impressionò vivamente gli stessi assassini quando lo fissarono per il colpo fatale.
Fratel Augusto Andrea (Romàn Martine Fernandez)
Nacque il 6 maggio 1910 a Santander. Da suo padre, militare di professione, ereditò il senso della precisione e dell'obbedienza e da sua madre, donna pia e sensibile, la gentilezza del tratto che tanto ammirarono i suoi insegnanti, i suoi compagni e, poi, anche i suoi alunni. Quando manifestò il desiderio di farsi religioso, la madre si oppose. Ci volle una grave malattia del ragazzo per piegare la resistenza della madre, che fece voto di non opporsi al desiderio del figlio, se lo avesse visto guarito. Il ragazzo guarì e così poté realizzare il suo desiderio. Entrò nel Noviziato dei Fratelli delle Scuole Cristiane a Bujedo.
Emise i primi voti il 15 agosto 1927, li rinnovò triennali nel 1929, ma non ebbe il tempo di emettere quelli perpetui, perché il martirio lo raggiunse un anno prima.
Era a Turón da appena un anno quando avvennero i tragici fatti che portarono anche questo giovane ventiquattrenne al dono generoso della vita.

(Fonte: Santa Sede)
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*San Luigi (Ludovico) Bertran – Domenicano (9 ottobre)
Valencia, Spagna, 1 gennaio 1526 - Valencia, Spagna, 9 ottobre 1581

Nel 1562 partì missionario per la Colombia, dove miracoli frequenti favorirono la conversione degli indios.
Dal pulpito denunciò anche i soprusi dei conquistatori spagnoli: uno di essi volle attentare alla vita del Santo, ma allo sparo lo schioppo si trasformò in crocifisso.
Nel 1569 è di nuovo a Valenza come maestro dei novizi e poi priore.
Della sua attività di consigliere prudente si avvalse anche Santa Teresa d'Avila, che da lui ebbe parole di incoraggiamento e il presagio sul successo della riforma carmelitana.

Patronato: Noviziati Domenicani
Martirologio Romano: A Valencia in Spagna, San Luigi Bertrán, sacerdote dell’Ordine dei Predicatori, che insegnò il Vangelo di Cristo a varie popolazioni indigene dell’America Meridionale e le difese dagli oppressori.
Le Provincie dell’Ordine che avevano accolte volenterose l’impulso di riforma dato dal Beato Raimonda da Capua ne videro esultanti i magnifici frutti.
In Spagna si proseguiva con alacrità e nel XVI° secolo uscirono dalle file dei Predicatori, santi e dotti evangelizzatori, martiri invitti.
Uno dei tanti eroi è San Ludovico Bertran.
A 19 anni entrò nell’Ordine nella nativa Valenza, e il santo Priore che l’accolse, Giovanni Micone, ne profetizzò la futura grandezza, dicendo che sarebbe stato un secondo San Vincenzo Ferreri.
Da Novizio fu specchio di penitenza e di orazione anche ai più provetti.
A 25 anni fu nominato Maestro dei Novizi che per dieci anni guidò con ammirabile saggezza, i quali poi, quasi tutti morirono in odore di santità.
Ma Ludovico bramava passare i mari come tanti suoi confratelli, per recarsi in quel Nuovo Mondo che con tante speranze si apriva alla vera fede, e un giorno, con licenza del Generale, partì.
Nel 1562 fu suo campo di lavoro l’America Centrale, in particolare la Colombia, dove egli percorse a piedi le vaste regioni che comprendono l’Equatore, la Nuova Granata, le Isole dell’Arcipelago, convertendo in sette anni circa 150.000 indiani.
Tornato in Patria, nel 1569, dopo si eroiche fatiche, fu ancora luce alle anime dentro e fuori il Convento, come Maestro dei Novizi, e Priore a Valenza.
Colto dalla malattia, fra tante sofferenze, non faceva che ripetere quelle parole a lui tanto familiari: “Signore, qui bruciate, qui tagliate, qui non perdonate, purché mi perdoniate in eterno!”.
Malgrado il fuoco che lo divorava volle morire con indosso il santo Abito di lana dell’Ordine.
Era il 9 ottobre 1581.
I suoi funerali furono un trionfo.
Papa Clemente X il 12 aprile 1671 lo ha proclamato Santo.
Papa Alessandro VIII lo ha dichiarato Patrono della Colombia.
Il suo corpo è rimasto sepolto fino al 1936 nella chiesa cittadina di Santo Stefano, quando fu bruciato durante la Rivoluzione.

(Autore: Franco Mariani – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Luigi Bertran, pregate per noi.

*Santa Publia di Antiochia (9 ottobre)

+ secolo IV
Pietosa vedova di Antiochia che si fece monaca. Fu schiaffeggiata su ordine di Giuliano l'apostata, perché cantava salmi che condannavano l'idolatria.
Martirologio Romano: Ad Antiochia in Siria, commemorazione di Santa Publia, che, rimasta vedova, entrò in monastero e, al passaggio dell’imperatore Giuliano l’Apostata, cantando insieme alle sue vergini i versetti del salmo «Gli idoli delle genti sono argento e oro» e «Diventi come loro chi li fabbrica», fu per ordine dell’imperatore stesso schiaffeggiata e pesantemente umiliata.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santa Publia di Antiochia, pregate per noi.

*San Sabino - Eremita (9 ottobre)

Martirologio Romano: Nel territorio di Bigorre alle falde dei Pirenei in Francia, San Sabino, eremita, che diede lustro alla vita monastica nella regione dell’Aquitania.

(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Sabino, pregate per noi.

*Altri Santi del giorno (9 ottobre)

*San
Giaculatoria - Santi tutti, pregate per noi.

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